Zuzu Angel: la moda, la dittatura militare, il coraggio

“Só queria agasalhar meu anjo
E deixar seu corpo descansar “

Volevo solo rivestire il mio angelo
E lasciare che  il suo corpo riposasse

(da “Angélica” di C. Buarque)

Zuzu AngelZuzu Angel (Zuleika Angel Jones) è stata una famosa stilista brasiliana che a partire dagli anni ’70 ha cominciato ad esportare le sue creazioni fuori dal Brasile, diventando molto popolare soprattutto negli Stati Uniti. Il suo nome, oltre ad essere legato ad una moda molto originale e colorata,  è ricordato anche per le vicende che riguardarono suo figlio Stuart che, partecipando ad azioni contro il regime dittatoriale di quegli anni, venne imprigionato, torturato e infine ammazzato dai militari. Zuzu cercò di recuperare per tutta la vita il cadavere del figlio, per potergli dare una degna sepoltura, ma non ci riuscì.

SfilataAllo stesso tempo continuò la sua battaglia personale contro la dittatura, ma i suoi continui attacchi e il suo desiderio di conoscere la verità, amplificati anche dalla sua popolarità internazionale, le costarono la vita. Ufficialmente Zuzu Angel morì a Rio de Janeiro nel 1976 per un incidente d’auto, ma questa vicenda non fu mai chiarita del tutto, ed è molto probabile che l’auto su cui viaggiava fosse stata manomessa da agenti del regime.

Nel 2006 è stato realizzato un bel film su questa storia con protagonisti l’attrice Patricia Pillar nel ruolo di Zuzu e con Daniel De Oliveira nel ruolo di Stuart e con tante altre celebrità del cinema brasiliano (soprattutto attori/attrici di telenovelas) tra cui Laura Piovani, Regiane Alves, Fernanda De Freitas. E’ uno di quei film che nascono per il mercato interno e poi riscuotono successo anche fuori; in questo caso un grande contributo per questo successo è venuto sicuramente dalla popolarita internazionale di Patricia Pillar (che gli americani hanno conosciuto in un altro film, “O quatrilho”, candidato all’Oscar come miglior film straniero) e dalla sua bravura nell’interpretare ruoli drammatici e di forza.

Patricia PillarIo mi sono imbattuto in questo film per caso, neppure sapevo di questa stilista brasiliana molto coraggiosa, anche se è stata celebrata da molte parti in patria come un simbolo della lotta contro la dittatura militare degli “anni di piombo” (ad esempio poi ho scoperto che Chico Buarque le ha dedicato la bellissima canzone Angélica). Semplicemente io cercavo informazioni su Patricia Pillar, che avevo appena finito di apprezzare nel ruolo della psicopatica Flora nella telenovela “A favorita” e che mi aveva stregato, oltre che per la sua bellezza difficilmente omologabile (leggi  quel naso un po’ bruttino, sia di fronte che di profilo, che però si perde nellla bellezza di tutto il resto) anche per la sua recitazione secondo me strepitosa.

E in in questo film Patricia Pillar  non ha tradito le mie aspettative; il ruolo drammatico le si confà perfettamente, il film a parte gli sprazzi del divertimento e del colore delle sfilate, è un po’ cupo (visto l’argomento e lo scenario) anche se tutta questa tristezza viene un po’ ritoccata per rendere la dittatura meno cruenta (salvo le scene della tortura di Stuart) e per rendere il dramma della madre che cerca il figlio disperso meno forte. Di questo film mi sono rimaste impresse in modo particolare tre scene nella mente.

Zuzu Angel alla ricerca del figlioLa prima è quella di Zuzu che si mette la strada davanti e comincia ad arrampicarsi nel centro antico di una Rio diversa da quella che si vede nei film (niente Copacabana o Leblon, e niente Rosinha o Mangueira insomma) alla ricerca di informazioni necessarie a ricostruire i dettagli della sparizione del figlio. Poi c’è una scena bellissima in cui prima di atterrare all’aeroporto di Rio Zuzu si alza, ruba di mano il microfono alla hostess che sta dando indicazioni ai passeggeri e invita tutti a riflettere sul fatto che la città che è sotto di loro non è poi tanto “meravigliosa” come si dice.

E poi c’è la scena di cui ho inserito il link, che mostra tutta la forza (e anche la delusione) della mamma Zuzu, impegnata nella sua lotta titanica e quasi solitaria contro un sistema corrotto e violento, che agisce con la forza ma anche con il condizionamento di tutte le sfere della società (compresa la giustizia). In questa scena si verifica il paradosso per cui i dittatori che hanno assassinato Stuart, il figlio di Zuzu, lo assolvono dalle accuse per cui era stato imprigionato.

Insomma uno dei film che mi hanno emozionato di più. Ci vuole una certa predisposizione per guardarlo, ma ogni tanto un film che emoziona e che fa riflettere ci vuole.

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